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Il confine sottile tra vita elettronica e vita fisica: intervista a Vincenzo Susca

Vincenzo Susca è maître de conférences in Sociologia dell’immaginario all’Università Paul-Valéry di Montpellier e ricercatore al Centre d’étude sur l’actuel et le quotidien dell’Università Paris Descartes Sorbonne (Parigi). McLuhan Fellow all’università di Toronto, ha fondato e dirige dal 2008, con M. Dandrieux, la rivista “Les Cahiers européens de l’Imaginaire” (CNRS éditions, Parigi).

Intervista di Mariangela Della Monica

Oggi il fake in rete significa non “vita falsa” ma “vita vera”. E’ così? In che senso?
Nel suo epocale saggio La società dello spettacolo (1967), Guy Debord scrive: “Nel mondo realmente rovesciato, il vero è un momento del falso”. Secondo il suo punto di vista, l’industria culturale baserebbe la propria più verace e splendida realtà sulla gigantesca mistificazione di spacciare per una vita gioiosa quella in cui, nel suo nome e con la sua panoplia di merci e distrazioni, la società, in uno stato di ebbrezza e di allucinazione, perde la coscienza della propria profonda alienazione e frustrazione, credendosi in uno stato di benessere e di felicità. La storia dell’ultimo cinquantennio, di cui la rete è solo l’ultima manifestazione, mostra al tempo stesso l’inversione e il compimento dell’ipotesi situazionista. Nello scenario incubato dai nuovi media elettronici, reticolari e in tempo iper-reale, la frontiera tra “vita falsa” e “vita vera” si dissolve parallelamente al venir meno di dicotomie storicamente solide come quelle tra il reale e l’irreale, il visibile e l’invisibile, la felicità e l’infelicità.

Dunque la vita elettronica “è fatta della stessa materia di cui sono fatti i sogni”, come diceva Shakespeare?
La vita è sempre stata fatta della stessa materia di cui sono fatti i sogni, ma oggi, se possibile, ancor di più. La rete tende a “realizzare” in modo integrale un cambiamento di gerarchia e di equilibrio tra la dimensione immateriale e quella materiale dell’esistenza, in modo tale da consentire al corpo fisico e societale di plasmarsi in maniera sempre più accentuata a partire da ciò che risiede nell’immaginario, nell’onirico e nella fantasmagoria. Il nostro esserci in carne, ossa e pixel, in maschera e fitti di elementi tecnomagici dentro e fuori di noi, segue, è in qualche modo lo sfociare del modo in cui abitiamo lo schermo, la rete e la vita elettronica, i quali pertanto precedono ed eccedono la nostra mera corporeità fisica, divenendone in qualche modo lo scheletro, la base iper-im-materiale.

La rete non sta diventando per caso un enorme “consolatoio”?
La rete è tutto e il suo contrario, è lo spazio-tempo che ricrea e in cui ricreiamo la nostra esistenza al di là dell’individuo, dell’individualismo e dell’umanesimo. Consola mentre droga, alleggerisce laddove carica l’umano dell’altro da sé, dischiude spettri di vita nel momento stesso in cui occupa e preoccupa le nostre esistenze, fa venire meno il soggetto proprio quando esso si sente accresciuto, aumentato, espanso nel mondo. Da questo punto di vista, non credo laggiù, in rete, si tratti davvero di uno spazio altro rispetto al qui e ora di dove siamo, quindi non ritengo vi avvengano processi che non siano già in atto altrove, anzi è forse vero il contrario: tutto sembra sgorgare, per sfociare sin qui – in terra, in carne e ossa – dal suo bacino di simboli, emozioni, affetti, sentimenti e ragioni, anche laddove non sia più l’intelligenza retta dal razionalismo moderno ad animarne ritmi e derive.

Possiamo dire che il fake è l’humus ideale della creatività?
Direi di sì, specie quando si consideri lo statuto contemporaneo dell’estetica e della socialità che ne è la causa e l’effetto. Esso è infatti distinto dalla prevalenza di pratiche e dispositivi che privilegiano il remix, la copia, la riproducibilità tecnica, la maschera, il ritocco, il pastiche, il bricolage, il copia-incolla, ovvero altrettante dinamiche rimodellanti lo statuto dell’arte così come è stato definito nel corso della modernità occidentale verso una condizione che privilegia la ricreazione in luogo della creazione, la vita prima ancora dell’opera, la collettività e la connettività al posto dell’angusto individuo. Come tenteremo di argomentare nell’incontro di sabato 12 ottobre, il proliferare del fake inaugura un reale più reale di quella che è stata la nostra realtà…